Cara Filippa,
non c’entra niente con il tuo splendido abbigliamento a righe, ma ricorderai che alcune settimane fa discutevamo dell’eccesso di immagini autoprodotte grazie all’enorme disponibilità di mezzi tecnici, dei possibili perché di questo eccesso e del difetto di capacità espressiva che esso provoca, creando uno dei paradossi più evidenti della cosiddetta società della comunicazione.
In questi ultimi giorni ho potuto rilevare come l’eccesso di immagini -o meglio, la facilità con la quale ci affidiamo all’immagine fotografica- riduca altre facoltà, a partire dall’uso della parola, rendendo laborioso trasmettere anche informazioni semplici e raccontare piccoli accadimenti quotidiani. Questa è una piccola cronaca personale che può valere da esempio.
A pochi passi da casa mia a Roma abita da un paio di anni una bella donna. Dimostra 32 o 35 anni, occhio e croce. E’ alta, viso affilato, begli occhi scuri, sorriso largo su denti bianchissimi, sempre attillata e scollata anche col freddo a -3, prodigiosa capigliatura corvina che scende a riccioli fino alle spalle. Sembra una ricca turista mediorientale che fa shopping in via Borgognona, ma è originaria di Tivoli e fa la parrucchiera e l’estetista. Ha una bottega a due passi da casa e un’altra a Monteverde Vecchio. Nelle due botteghe ci sono delle lavoranti che fanno di tutto per somigliarle, almeno nel vestire. Quando sono a Roma ed esco di casa di buon mattino la trovo dal giornalaio o dal tabaccaio o al bar che è accanto alla sua bottega.
E così, un saluto oggi e un sorriso domani, giovedì scorso alle 7,30 ci siamo ritrovati a prendere lei il cappuccino e io il caffè seduti ad un tavolo invece che al banco del solito bar, giusto per scambiare due parole fuori della calca. Ho sempre pensato che a Roma le donne così si chiamino tutte Jessica o Vanessa o Deborah, ma lei si chiama C., un bel nome della ‘classicità’, pochissimo diffuso oltre la cintura metropolitana. Giovedì mattina C. non ha smesso un attimo di armeggiare con un cellulare di ultima generazione. Fotografava ogni cosa: il cappuccino schiumato con il ‘cake design’, il maritozzo con la panna, la crostata di visciole, un ragazzo di colore che vende i DVD falsi, le nuove divise delle bariste, il barboncino di una signora, e, già che c’era, ha fotografato pure me. Queste foto finivano -seduta stante- in Facebook e Twitter, così come mamma le aveva fatte, senza alcuna didascalia o giustificazione. Dopo un po’ C. tornava a controllare i ‘mi piace’ e leggeva ad alta voce i commenti di amici e amiche. Perlopiù i commenti erano: ‘daje’, ‘wow’ , ‘e vai..’ . Nelle pause di FB e Twitter mi faceva domande sul mio stato civile alle quali rispondevo con un po’ di fastidio, per il motivo che non avevo intenzione di fare a mia volta domande personali. Però, consideravo pure che qualche domanda avrei dovuto farla a C., giusto per capire se rischiavo di ritrovarmi davanti un trentenne palestrato, di quelli con il gel nei capelli corti, l’abito grigio a righe, il Fay di ordinanza, l’eterna sciarpa lilla o celestina, un brillantino sul naso e le sopracciglia ritoccate. Che sia un marito, un fidanzato o un amante poco importa, penso che quello sia il tipo ideale, il suo perfetto complemento maschile. Non ho mai visto C. in compagnia di uomini ma uno così non può non esserci e, anzi, sono convinto che da qualche parte ‘lo tiene astipato’, vale a dire, a Napoli, conservato con cura. In verità, l’occasione per fare qualche domanda esplorativa si è presentata quando C. –di colpo e senza una ragione- si è lanciata in uno di quei discorsi sull’ uomo e la donna, sulla seduzione etc.. Ad un certo punto ha detto :”A me l’omo me deve…., me deve….” E non andava avanti, non trovava la parola. M’è venuto in mente di tutto, ma mi sono moderato ed ho suggerito: ”Affascinare?”, però non era quella la parola giusta. E poi ancora ci ho provato con attrarre, sorprendere, coinvolgere, eccitare. Ma niente da fare, per C. era sempre ‘fuocherello’. Ad ogni mio tentativo sospirava “Nun te so di’…”. Alla fine ho buttato lì uno ‘stregare’ che finalmente l’ha scossa. Ha spinto il viso verso di me e -con aria complice e voce profonda- ha mormorato: ”Sì, a me l’omo me deve che strega’…”. Stavo bevendo un sorso d’acqua che mi è andato di traverso: ci sono momenti in cui vivere a Roma e vivere in uno spot del famoso caffè sono la stessa cosa. Però, ho subito abbandonato ogni intenzione sarcastica e ogni pensiero sulle aspettative di C., sulla sua debordante fisicità e su ciò che un uomo farebbe al suo cospetto, che l’uomo in questione sia un esplosivo trentenne palestrato ma anche un esausto stagionato. Ho preferito dedicarmi a pensieri casti, chiedendomi se ci fosse un nesso causale tra l’abitudine al linguaggio dei social, a tutte quelle foto e a quei commenti monosillabi, da un lato, e, dall’altro, la modestia lessicale, la difficoltà a mettere in fila due parole facili. Secondo me, il nesso causale c’è, eccome. La ragazza è tutt’altro che sprovveduta; al contrario, è una persona che si dà molto da fare, ha delle attività e delle responsabilità. Penso, pertanto, che la sua difficoltà a esprimersi sia indotta dall’uso irragionevole e quasi compulsivo di immagini che dovrebbero raccontare di lei, di ciò che vive, di ciò che desidera, di ciò che le passa per la testa, ma in realtà -sostituendosi meccanicamente alle parole- finiscono per raccontare poco e appannano le vere forme espressive.
Ma non è finito qui l’esempio di difficoltà comunicativa: venerdì mattina, passate le 8, ho visto C. davanti all’edicola frugare nervosamente nella borsa, agitare la chioma nerissima, sbattere un piede per terra. Mi sembrava molto alterata e mi sono avvicinato per chiedere cosa fosse accaduto. Era appena uscita dal bar e al momento di comprare i giornali si era accorta di non avere più il portafogli. Documenti e carte di credito erano nella tasca interna della borsa, ma il portafoglio di Fendi con 250 euro prelevati al bancomat non c’era più. Era convinta che glielo avesse sfilato un tizio che le stava accanto al banco del bar dopo averle dato una leggera spinta, ma c’era folla e –lì per lì- non ci aveva fatto caso. Secondo C. il tizio l’aveva vista al bancomat e l’aveva seguita. Con scarsissime speranze siamo entrati nel bar per cercare il portafogli, ma ovviamente non ce n’era traccia e nessuno aveva notato anomalie. L’uomo alla cassa ci ha detto che qualche settimana prima si era verificato un fatto analogo; quello è un quartiere tranquillo, cose così non se n’erano mai viste e solo adesso pensavano di installare delle telecamere. Siamo usciti dal bar e ho chiesto a C. se ricordava com’era il tizio che aveva sfilato il portafoglio dalla borsa. “Com’era ? ‘no stronzo era…”. “No, voglio dire, com’era fatto fisicamente”. “E che te dico ? En fijo de ‘na mignotta era…”. “Sì, va bene, ma era giovane, vecchio, alto, basso…”. Ci pensa un po’ e si mette a cercare nel cellulare. Tra un ‘mortacci sua’ e l’altro ha cercato a lungo e poi mi ha mostrato una foto (credo che lì dentro ne custodisca milioni). E’ un autoscatto mentre avvolge in un abbraccio e sovrasta un tipo basso, stempiato e rosso in viso. “Questo è il mio ragioniere, lo stronzo è un tipo così”. “Ecco, brava, finalmente ! Senza stare lì mezz’ora a cercare la foto ti bastava dire: basso, stempiato e rosso in viso”.
Mi ha fatto compagnia mentre facevo colazione, quindi un po’ di chiacchiere, infine è andata a fare la denuncia ai Carabinieri. Con garbo ho consigliato di spiegare con calma il fatto e descrivere il tizio a parole. Ho raccomandato di affidarsi solo alle parole: non occorre mostrare la foto anche perché c’è il rischio che quelli arrestino il suo ragioniere.
Bellissimo, questo racconto di vita quotidiana che, ahinoi, la dice lunga sui nuovi modi di comunicare…
Comunque, è già tanto che la signora C. non ti abbia detto “Per me l’omo… ha da puzza’!”
Quanto a C. sono curioso di capire chi vede e chi frequenta. Quando tornerò a Roma ne saprò di più. Non credo il suo ‘omo’ puzzi, sarebbe un’estetista contro natura. Invece, C. è una che ti squadra da capo a piedi, vede se sei magro o grasso, come ti vesti, se ti sei rasato bene etc. Già mi ha dato due o tre consigli estetici che, naturalmente, non seguirò.
Invece sono sicuro che l’omo è un tipo levigato, lucido, tornito e vestito: una specie di Big Jim.
Poi, si sa, in questa materia ci possono essere sempre delle sorprese.
L’omo ha da puzza’ -o una cosa molto simile- me lo disse un’amica di mia sorella tanti anni fa. Lei era carinissima ma la vedevo sempre con ragazzi orribili. Una volta le chiesi come fosse possibile che lei tanto carina (e fine e chic) frequentasse dei marruffi tremendi. Mi rispose che a lei piacevano ‘brutti sporchi e cattivi’. Io ne ricavai che:1) le vie dell’erotismo sono infinite e che è meglio non indagare i percorsi che ciascuno compie;2) piacere o non piacere (alle donne) non è questo il problema, vale a dire che il gradimento femminile non dà la misura dell’ individuo.
Grazie per questo racconto stupendo DB!So bene di essere simile a C. per le poche parole e tanti immagini che utilizziamo per esprimerci.
Sono così, sintetica.
🙂
Cara Filippa,
per la verità, non pensavo a te raccontando di C. e delle sue foto.
Credo che più volte abbiamo detto -in relazione a questi argomenti- che ti collochi su un piano completamente diverso, per la storia personale, per il mondo cui appartieni, per la professione.
I problemi, a mio avviso, iniziano (e diventano inestricabili) quando l’uso dell’immagine come racconto di sé diventa una pratica di massa, quando milioni di individui decidono di rappresentarsi minuto per minuto attraverso le foto pubblicate sui social media, spezzettano la propria esperienza -e, io credo, la propria identità- in mille frammenti visivi sparsi qui e là.
La mia cronaca di questa mattina voleva essere un contributo -non sintetico- ad una possibile discussione su questo terreno. Insomma, voleva essere la ripresa di un discorso generale accennato poco tempo fa.
Il fatto è che stiamo, grazie a foto, FB, twitter ed altro, creando un profilo di noi ben deciso e appetibile per le aziende e la loro pubblicità mirata. Se cerchi su Google una cosa, quando arrivano le mail con allegati, quando compri qualcosa…vengono incrociati i dati, e la pubblicità mirata apparirà per esempio sul lato della proprio pagina FB (mi accade spesso). Tanto è che loro sanno prima di te le cose che compreremo nel prossimo futuro… Ma noi continuiamo a postare, postare, postare… BOOOM. :/
Certamente ci sono i risvolti di sfruttamento commerciale che tu descrivi. La pubblicità è uno dei pochi aspetti solidi della cosiddetta ‘società liquida’.
Tornando alle ragioni che governano tanta affluenza ai social e tanta ‘vita’ in qualche modo riprodotta lì, ho trovato poco fa su Repubblica di ieri un articolo di Rebecca Newberger Goldstein, una raffinata scrittrice e saggista americana. Il titolo è qualcosa del genere:”Platone e Twitter”.
Purtroppo non è ancora disponibile in digitale in modo che io possa copiare e incollare qui. Se hai il cartaceo sottomano vale la pena di leggerlo.
Ti hanno messa proprio in riga, ieri sera, eh?!… Ma no, ovviamente non ne hai bisogno, e poi sappiamo che la scelta dell’outfit è sempre opera tua, quindi… Pollici SU SU SU per questo look!
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DB
Cara Filippa,
non c’entra niente con il tuo splendido abbigliamento a righe, ma ricorderai che alcune settimane fa discutevamo dell’eccesso di immagini autoprodotte grazie all’enorme disponibilità di mezzi tecnici, dei possibili perché di questo eccesso e del difetto di capacità espressiva che esso provoca, creando uno dei paradossi più evidenti della cosiddetta società della comunicazione.
In questi ultimi giorni ho potuto rilevare come l’eccesso di immagini -o meglio, la facilità con la quale ci affidiamo all’immagine fotografica- riduca altre facoltà, a partire dall’uso della parola, rendendo laborioso trasmettere anche informazioni semplici e raccontare piccoli accadimenti quotidiani. Questa è una piccola cronaca personale che può valere da esempio.
A pochi passi da casa mia a Roma abita da un paio di anni una bella donna. Dimostra 32 o 35 anni, occhio e croce. E’ alta, viso affilato, begli occhi scuri, sorriso largo su denti bianchissimi, sempre attillata e scollata anche col freddo a -3, prodigiosa capigliatura corvina che scende a riccioli fino alle spalle. Sembra una ricca turista mediorientale che fa shopping in via Borgognona, ma è originaria di Tivoli e fa la parrucchiera e l’estetista. Ha una bottega a due passi da casa e un’altra a Monteverde Vecchio. Nelle due botteghe ci sono delle lavoranti che fanno di tutto per somigliarle, almeno nel vestire. Quando sono a Roma ed esco di casa di buon mattino la trovo dal giornalaio o dal tabaccaio o al bar che è accanto alla sua bottega.
E così, un saluto oggi e un sorriso domani, giovedì scorso alle 7,30 ci siamo ritrovati a prendere lei il cappuccino e io il caffè seduti ad un tavolo invece che al banco del solito bar, giusto per scambiare due parole fuori della calca. Ho sempre pensato che a Roma le donne così si chiamino tutte Jessica o Vanessa o Deborah, ma lei si chiama C., un bel nome della ‘classicità’, pochissimo diffuso oltre la cintura metropolitana. Giovedì mattina C. non ha smesso un attimo di armeggiare con un cellulare di ultima generazione. Fotografava ogni cosa: il cappuccino schiumato con il ‘cake design’, il maritozzo con la panna, la crostata di visciole, un ragazzo di colore che vende i DVD falsi, le nuove divise delle bariste, il barboncino di una signora, e, già che c’era, ha fotografato pure me. Queste foto finivano -seduta stante- in Facebook e Twitter, così come mamma le aveva fatte, senza alcuna didascalia o giustificazione. Dopo un po’ C. tornava a controllare i ‘mi piace’ e leggeva ad alta voce i commenti di amici e amiche. Perlopiù i commenti erano: ‘daje’, ‘wow’ , ‘e vai..’ . Nelle pause di FB e Twitter mi faceva domande sul mio stato civile alle quali rispondevo con un po’ di fastidio, per il motivo che non avevo intenzione di fare a mia volta domande personali. Però, consideravo pure che qualche domanda avrei dovuto farla a C., giusto per capire se rischiavo di ritrovarmi davanti un trentenne palestrato, di quelli con il gel nei capelli corti, l’abito grigio a righe, il Fay di ordinanza, l’eterna sciarpa lilla o celestina, un brillantino sul naso e le sopracciglia ritoccate. Che sia un marito, un fidanzato o un amante poco importa, penso che quello sia il tipo ideale, il suo perfetto complemento maschile. Non ho mai visto C. in compagnia di uomini ma uno così non può non esserci e, anzi, sono convinto che da qualche parte ‘lo tiene astipato’, vale a dire, a Napoli, conservato con cura. In verità, l’occasione per fare qualche domanda esplorativa si è presentata quando C. –di colpo e senza una ragione- si è lanciata in uno di quei discorsi sull’ uomo e la donna, sulla seduzione etc.. Ad un certo punto ha detto :”A me l’omo me deve…., me deve….” E non andava avanti, non trovava la parola. M’è venuto in mente di tutto, ma mi sono moderato ed ho suggerito: ”Affascinare?”, però non era quella la parola giusta. E poi ancora ci ho provato con attrarre, sorprendere, coinvolgere, eccitare. Ma niente da fare, per C. era sempre ‘fuocherello’. Ad ogni mio tentativo sospirava “Nun te so di’…”. Alla fine ho buttato lì uno ‘stregare’ che finalmente l’ha scossa. Ha spinto il viso verso di me e -con aria complice e voce profonda- ha mormorato: ”Sì, a me l’omo me deve che strega’…”. Stavo bevendo un sorso d’acqua che mi è andato di traverso: ci sono momenti in cui vivere a Roma e vivere in uno spot del famoso caffè sono la stessa cosa. Però, ho subito abbandonato ogni intenzione sarcastica e ogni pensiero sulle aspettative di C., sulla sua debordante fisicità e su ciò che un uomo farebbe al suo cospetto, che l’uomo in questione sia un esplosivo trentenne palestrato ma anche un esausto stagionato. Ho preferito dedicarmi a pensieri casti, chiedendomi se ci fosse un nesso causale tra l’abitudine al linguaggio dei social, a tutte quelle foto e a quei commenti monosillabi, da un lato, e, dall’altro, la modestia lessicale, la difficoltà a mettere in fila due parole facili. Secondo me, il nesso causale c’è, eccome. La ragazza è tutt’altro che sprovveduta; al contrario, è una persona che si dà molto da fare, ha delle attività e delle responsabilità. Penso, pertanto, che la sua difficoltà a esprimersi sia indotta dall’uso irragionevole e quasi compulsivo di immagini che dovrebbero raccontare di lei, di ciò che vive, di ciò che desidera, di ciò che le passa per la testa, ma in realtà -sostituendosi meccanicamente alle parole- finiscono per raccontare poco e appannano le vere forme espressive.
Ma non è finito qui l’esempio di difficoltà comunicativa: venerdì mattina, passate le 8, ho visto C. davanti all’edicola frugare nervosamente nella borsa, agitare la chioma nerissima, sbattere un piede per terra. Mi sembrava molto alterata e mi sono avvicinato per chiedere cosa fosse accaduto. Era appena uscita dal bar e al momento di comprare i giornali si era accorta di non avere più il portafogli. Documenti e carte di credito erano nella tasca interna della borsa, ma il portafoglio di Fendi con 250 euro prelevati al bancomat non c’era più. Era convinta che glielo avesse sfilato un tizio che le stava accanto al banco del bar dopo averle dato una leggera spinta, ma c’era folla e –lì per lì- non ci aveva fatto caso. Secondo C. il tizio l’aveva vista al bancomat e l’aveva seguita. Con scarsissime speranze siamo entrati nel bar per cercare il portafogli, ma ovviamente non ce n’era traccia e nessuno aveva notato anomalie. L’uomo alla cassa ci ha detto che qualche settimana prima si era verificato un fatto analogo; quello è un quartiere tranquillo, cose così non se n’erano mai viste e solo adesso pensavano di installare delle telecamere. Siamo usciti dal bar e ho chiesto a C. se ricordava com’era il tizio che aveva sfilato il portafoglio dalla borsa. “Com’era ? ‘no stronzo era…”. “No, voglio dire, com’era fatto fisicamente”. “E che te dico ? En fijo de ‘na mignotta era…”. “Sì, va bene, ma era giovane, vecchio, alto, basso…”. Ci pensa un po’ e si mette a cercare nel cellulare. Tra un ‘mortacci sua’ e l’altro ha cercato a lungo e poi mi ha mostrato una foto (credo che lì dentro ne custodisca milioni). E’ un autoscatto mentre avvolge in un abbraccio e sovrasta un tipo basso, stempiato e rosso in viso. “Questo è il mio ragioniere, lo stronzo è un tipo così”. “Ecco, brava, finalmente ! Senza stare lì mezz’ora a cercare la foto ti bastava dire: basso, stempiato e rosso in viso”.
Mi ha fatto compagnia mentre facevo colazione, quindi un po’ di chiacchiere, infine è andata a fare la denuncia ai Carabinieri. Con garbo ho consigliato di spiegare con calma il fatto e descrivere il tizio a parole. Ho raccomandato di affidarsi solo alle parole: non occorre mostrare la foto anche perché c’è il rischio che quelli arrestino il suo ragioniere.
Tuo,
DB
Letizia
Bellissimo, questo racconto di vita quotidiana che, ahinoi, la dice lunga sui nuovi modi di comunicare…
Comunque, è già tanto che la signora C. non ti abbia detto “Per me l’omo… ha da puzza’!”
DB
Cara Letizia, ti ringrazio.
Quanto a C. sono curioso di capire chi vede e chi frequenta. Quando tornerò a Roma ne saprò di più. Non credo il suo ‘omo’ puzzi, sarebbe un’estetista contro natura. Invece, C. è una che ti squadra da capo a piedi, vede se sei magro o grasso, come ti vesti, se ti sei rasato bene etc. Già mi ha dato due o tre consigli estetici che, naturalmente, non seguirò.
Invece sono sicuro che l’omo è un tipo levigato, lucido, tornito e vestito: una specie di Big Jim.
Poi, si sa, in questa materia ci possono essere sempre delle sorprese.
L’omo ha da puzza’ -o una cosa molto simile- me lo disse un’amica di mia sorella tanti anni fa. Lei era carinissima ma la vedevo sempre con ragazzi orribili. Una volta le chiesi come fosse possibile che lei tanto carina (e fine e chic) frequentasse dei marruffi tremendi. Mi rispose che a lei piacevano ‘brutti sporchi e cattivi’. Io ne ricavai che:1) le vie dell’erotismo sono infinite e che è meglio non indagare i percorsi che ciascuno compie;2) piacere o non piacere (alle donne) non è questo il problema, vale a dire che il gradimento femminile non dà la misura dell’ individuo.
DB
Filippa
Grazie per questo racconto stupendo DB!So bene di essere simile a C. per le poche parole e tanti immagini che utilizziamo per esprimerci.
Sono così, sintetica.
🙂
DB
Cara Filippa,
per la verità, non pensavo a te raccontando di C. e delle sue foto.
Credo che più volte abbiamo detto -in relazione a questi argomenti- che ti collochi su un piano completamente diverso, per la storia personale, per il mondo cui appartieni, per la professione.
I problemi, a mio avviso, iniziano (e diventano inestricabili) quando l’uso dell’immagine come racconto di sé diventa una pratica di massa, quando milioni di individui decidono di rappresentarsi minuto per minuto attraverso le foto pubblicate sui social media, spezzettano la propria esperienza -e, io credo, la propria identità- in mille frammenti visivi sparsi qui e là.
La mia cronaca di questa mattina voleva essere un contributo -non sintetico- ad una possibile discussione su questo terreno. Insomma, voleva essere la ripresa di un discorso generale accennato poco tempo fa.
Cari saluti,
DB
Filippa
Il fatto è che stiamo, grazie a foto, FB, twitter ed altro, creando un profilo di noi ben deciso e appetibile per le aziende e la loro pubblicità mirata. Se cerchi su Google una cosa, quando arrivano le mail con allegati, quando compri qualcosa…vengono incrociati i dati, e la pubblicità mirata apparirà per esempio sul lato della proprio pagina FB (mi accade spesso). Tanto è che loro sanno prima di te le cose che compreremo nel prossimo futuro… Ma noi continuiamo a postare, postare, postare… BOOOM. :/
naty
E’ inutile ci Spiano…
in ogni caso guardiamo il bello,leggiamo il meglio,e poi voltiamo pagina…
Buona serata fili,a tutti/e,naty
DB
Certamente ci sono i risvolti di sfruttamento commerciale che tu descrivi. La pubblicità è uno dei pochi aspetti solidi della cosiddetta ‘società liquida’.
Tornando alle ragioni che governano tanta affluenza ai social e tanta ‘vita’ in qualche modo riprodotta lì, ho trovato poco fa su Repubblica di ieri un articolo di Rebecca Newberger Goldstein, una raffinata scrittrice e saggista americana. Il titolo è qualcosa del genere:”Platone e Twitter”.
Purtroppo non è ancora disponibile in digitale in modo che io possa copiare e incollare qui. Se hai il cartaceo sottomano vale la pena di leggerlo.
Buona serata a tutti !
DB
Letizia
Ti hanno messa proprio in riga, ieri sera, eh?!… Ma no, ovviamente non ne hai bisogno, e poi sappiamo che la scelta dell’outfit è sempre opera tua, quindi… Pollici SU SU SU per questo look!
veraB'
In ritardissimo, ma te lo scirvo tra le righe: sei fantastica !!!
baci
veraB’
veraB'
scirvo=scrivo… sorry
sandali
bellissimo look..giacca e scarpe stupende!